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venerdì 22 marzo 2013

Debiti PA - Imprese

Inizia a sgonfiarsi l’annuncio dato in pompa magna dai media italiani sullo sblocco al pagamento dei debiti  della pubblica amministrazione verso le imprese.

Il governo dell’austerity ci ha insegnato che è necessario dimostrarsi affidabili ai mercati, non dando neppure l’immagine di non essere in grado di onorare i propri debiti finanziari. Peccato che lo stesso rigore non sia stato dimostrato con riguardo ai debiti commerciali, ossia alla montagna di euro che lo stato centrale e gli enti locali devono alle imprese per lavori svolti e mai pagati. Una situazione ereditata dal premier Mario Monti, ma che ad oggi non ha trovato impegno da parte del suo esecutivo. Ieri, il consiglio dei ministri ha annunciato in pompa magna che saranno sbloccati 40 miliardi di debiti verso le imprese. A ben vedere, si tratta di una semplice presa d’atto del governo di uno stato di emergenza, dopo le pressioni esercitate dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che aveva invitato il governo a fare presto, perché lo sblocco di soli 48 dei 70 miliardi di crediti delle imprese creerebbe 250 mila posti di lavoro e rilancerebbe gli investimenti.

Sblocco debiti pa verso imprese: la lunga tempistica del governo

Il governo parla di sbloccare 40 miliardi entro il 2014. La metà sarebbe resa disponibile nella seconda parte dell’anno, mentre i restanti 20 miliardi sarebbero sbloccati nel corso del 2014. Tuttavia, per effetto di tale misura, il rapporto tra deficit e pil aumenterebbe dello 0,5% nel 2013 e dello 0,4% nel 2014, rispettivamente al 2,9% e all’1,7%. Sorge il dubbio che l’innalzamento di tali rapporti abbia poco a che fare con lo sblocco dei crediti delle imprese. Se è vero, infatti, che il finanziamento di tale provvedimento avverrebbe con ulteriori emissioni di titoli del debito pubblico, è altrettanto indubbio che ciò corrisponderebbe a una riduzione in eguale misura di un debito commerciale dello stato. In sostanza, lo stato avrebbe sempre la stessa montagna di debito pubblico, semplicemente parte di esso sarebbe trasferito dal comparto commerciale a quello finanziario. E, tuttavia, tutto si può dire, tranne che il cdm di ieri abbia sbloccato l’impasse. Se il presidente degli industriali Squinzi parla di un primo passo in avanti nella giusta direzione, di tutt’altro avviso è il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, che ritiene la misura un rinvio sulla pelle delle piccole e medie imprese italiane. Non solo, infatti, i crediti Pa sarebbero sbloccati nell’arco dei prossimi 21 mesi, ma a conti fatti si tratta di poco più della metà di quelli vantati dalle nostre imprese.

I Comuni sono una parte (piccola) del problema

Né stavolta si può pensare che la questione riguardi per lo più gli enti locali. Essi dovrebbero sborsare una decina di miliardi dei 70 miliardi di debiti commerciali complessivi. Per rendere loro possibile tale compito, il governo ha pensato di attenuare il patto di stabilità interno, consentendo a regioni, province e comuni di contabilizzare i pagamenti come residui attivi, mettendo in circolazione somme che sarebbero già iscritte a bilancio come residui passivi.

Lo Stato pensa di ridurre il suo debito verso le imprese emettendo nuovi BOT e BTP 

Diverso e più complesso è il discorso per lo stato centrale. Come detto sopra, il finanziamento della misura dovrebbe avvenire con l’emissione di BoT e BTp, aumentando l’ammontare da collocare nel corso del 2013, già previsto intorno a 410 miliardi. Ciò potrebbe incrementare la pressione sui nostri rendimenti, accrescendo gli oneri sul debito. Resta, poi, da verificare la tempistica con cui potrà essere ufficializzato lo sblocco. I presidenti di Camera e Senato, Boldrini e Grasso, si sarebbero detti disponibile all’istituzione di una commissione ad hoc, per assegnare al provvedimento una corsia preferenziale. Ma che non ci sia ottimismo al riguardo lo dimostra lo stesso governo, che ha affermato ieri come il varo del relativo decreto potrebbe avvenire per mano del nuovo esecutivo.

Cosa resta oltre gli annunci ai media?

Ma non avendo né un governo, né una stabilità politica nelle Camere, fiutandosi aria di nuove elezioni, che sarebbero successive alla formazione di un esecutivo di transizione (scenario molto probabile) e all’elezione del nuovo capo dello stato, si ha tutta la sensazione che tra crisi politica, mancanza di volontà e ingorgo istituzionale, quello di ieri al cdm sia stato uno “show-contentino” e solo mediatico concesso ai vertici imprenditoriali, senza che le imprese vedranno il becco di un quattrino da qui ai prossimi mesi delle somme che vantano da mesi e anni. D’altronde, la stessa certificazione, istituita oltre un anno fa, che mirava a monetizzare i crediti con un’operazione di factoring bancario, si è rivelata un flop, per ammissione dello stesso ministro dell’Economia, Vittorio Grilli. E’ stata riconosciuta solo qualche decina di milioni di crediti, a fronte di svariate decine di miliardi, stando agli studi più attendibili; qualcosa come l’uno per mille

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