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venerdì 4 gennaio 2013

Le Fonti del Diritto

LE FONTI
Una volta chiarito che il diritto del lavoro si applica al lavoratore subordinato, occorre porsi il problema delle fonti. Esse sono:
1)      COSTITUZIONE
2)      FONTI INTERNAZIONALI
3)      FONTI COMUNITARIE
4)      LA LEGGE
5)      CONTRATTI COLLETTIVI
6)      CONTRATTI INDIVIDUALI
7)      GLI USI

I PRINCIPI COSTITUZIONALI: La carta costituzionale attribuisce al lavoro una valenza fondamentale, esso costituisce il valore su cui si fonda la Repubblica, la quale riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, promuovendo le condizioni che lo rendono effettivo. Il lavoro è anche un dovere di ogni cittadino, da adempiere secondo le proprie possibilità e la propria scelta. Il lavoro subordinato gode di un complesso di garanzie specifiche, che ne rendono particolarmente intensa la rilevanza nei confronti dello Stato e negli stessi rapporti intersoggettivi privati. I principi conferiscono situazioni soggettive di vantaggio ai lavoratori subordinati al fine di realizzare un’uguaglianza di fatto.
L’art. 35 riguarda la tutela del lavoro, la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori, con particolare riferimento alle condizioni del mercato del lavoro, interno ed internazionale.
L’art. 36 attribuisce al lavoratore in ogni caso il diritto alla retribuzione sufficiente per un’esistenza libera e dignitosa, il diritto irrinunciabile ai riposi settimanali e alle ferie.
L’art. 37 sancisce il principio di parità di trattamento tra uomo e donna in materia di lavoro, esteso anche al lavoro dei minori.
L’art. 38 prevede strutture di assistenza sociale per ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere, strutture di previdenza sociale per i lavoratori in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria e assicura agli inabili e ai minorati il diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
L’art. 39 e 40 tutelano l’attività sindacale e riconoscono il diritto di sciopero.
Numerose sono, poi, le disposizioni costituzionali che si riferiscono, indirettamente, al rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni.
Se è vero che il lavoro costituisce il principale mezzo di sostentamento e di espressione delle capacità del singolo, non si deve peraltro dimenticare che esso incide sullo stato fisico e psichico individuale (tutela della salute e della sicurezza nell’ambiente di lavoro).

FONTI INTERNAZIONALI: art. 10 della Costituzione. Il nostro ordinamento si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. Ne consegue che queste ultime penetrano direttamente nell’ordinamento interno e sono gerarchicamente superiori alle leggi ordinarie (riguarda le norme internazionali di origine consuetudinaria e non quelle di origine patrizia)
Sono molteplici, aggregabili in tre partizioni:
a)      Trattati internazionali;
b)     Convenizioni dell’O.I.L. (l’Organizzazione Internazionale del Lavoro) nata nel 1917 per assicurare standard di tutela dei lavoratori subordinati;
c)      Norme dell’Unione Europea (UE).
Le prime due sono fonti indiretta in quanto devono essere ratificate con leggi dello Stato per entrare a far parte dell’ordinamento giuridico italiano ed essere quindi efficaci e vincolanti.

FONTI COMUNITARIE: Il diritto comunitario è soggetto ad una disciplina particolare; le norme comunitarie possono non solo assurgere al rango di fonti direttamente applicabili dal giudice nazionale quali leggi interne dell’ordinamento. Le fonti comunitarie si distinguono in:
1)      norme di diritto primario: si tratta di norme contenute nel Trattato istitutivo della Comunità europea e nel trattato sull’Unione europea. Le norme di diritto primario possono avere carattere programmatico (devono essere attuate per il tramite di atti di normazione derivata) o precettivo (x es. il quale sancisce la parità di trattamento retributivo fra uomo e donna in materia di lavoro);
2)      norme di diritto derivato: all’art. 249 del trattato com. europea viene attribuito alle istituzioni comunitarie il potere di emanare i seguenti atti con diversa efficacia:
a-      Regolamenti: hanno portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e sono direttamente applicabili negli Stati membri. Il giudice interno deve disapplicare eventuali leggi nazionali anteriori o posteriori alle norme comunitarie, se con queste contrastanti, senza doverne attendere la rimozione in sede legislativa o per il tramite di impugnazioni di incostituzionalità. Secondo la Carta Costituzionale dell’art. 11 Cost. l’ordinamento comunitario e quello nazionale, pur distinti, sono fra loro coordinati e comunicanti, con la conseguenza dell’immissione nell’ordinamento interno delle norme comunitarie direttamente applicabili e prevalenti sulle norme legislative nazionali senza alcun effetto estintivo delle stesse.
b-      Direttive: vincolano lo Stato membro cui sono rivolte per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi da utilizzare in relazione allo scopo prefissato. Tali direttive prevalgono sulle norme di diritto interno con esse contrastanti, che dovranno venire disapplicare dal giudice nazionale. L’efficacia diretta delle diretta delle direttive è solo verticale e non già orizzontale. In altre parole, le direttive sono invocabili dai singoli contro lo Stato, mentre non possono produrre i loro effetti nei rapporti interprivati. Il giudice dello Stato membro deve comunque interpretare la normativa nazionale sia precedente che successiva alla direttiva alla luce della lettera e dello scopo della direttiva stessa, indipendentemente dal fatto che quest’ultima sia o meno stata effettuata e che sia fatta valere nei confronti di un soggetto privato o pubblico (si intende eliminare il contrasto fra normativa interna e direttiva).
c-      Decisioni: sono obbligatorie in tutti i loro elementi per destinatari in esse designati, che possono essere Stati, individui o imprese.
d-      Raccomandazioni o pareri: non sono vincolanti.

4-LA LEGGE, CONTRATTI COLLETTIVI E INDIVIDUALI
Tra le fonti di diritto statuale rientrano il codice civile, che contiene la nozione di lavoratore subordinato (art. 2094 c.c.) e dedica al lavoro il Libro V, e la legislazione ordinaria nella materia specifica, comprendenti le leggi e gli altri atti aventi forza di legge, nonché i regolamenti di attuazione e di esecuzione dei suddetti atti.
Una delle caratteristiche essenziali del diritto del lavoro è quella di porre rimedio all’inferiorità economica e sociale del lavoratore ed al suo stato di soggezione durante il rapporto, garantendogli condizioni minime inderogabili.
Strumento fondamentale di ridimensione di questa direttrice è il principio del favore. Ma non meno significativa è anche l’applicazione del meccanismo ex art. 1339 in virtù del quale debbono intendersi inserite nel corpo del contratto clausole previste dalla legge.
In virtù dell’art 1339 la nullità di singole clausole non comporta la nullità delle residue clausole del contratto, allorché le clausole nulle siano sostituite per imperio di legge.
L’aspetto tuttavia più saliente e tipico del diritto del lavoro è senza dubbio il ruolo giocato dalla contrattazione collettiva, che può considerarsi espressione del principio di libertà sindacale e dunque trae la propria legittimazione dall’art. 39 Cost.
La funzione del contratto collettivo è proprio quella di stabilire minimi di trattamento economico e normativo migliorativi rispetto a quelli fissati dalla legge e non derogabili da parte del contratto individuale di lavoro. Infatti, le clausole del contratto collettivo si sostituiscono automaticamente a quelle del contratto individuale, a meno che queste ultime non contengano condizioni più favorevoli. Il contratto individuale ha tradizionalmente svolto un ruolo marginale rispetto alla legge e al contratto collettivo per limitare la possibilità del datore di definire, facendo leva sulla posizione di inferiorità negoziale e sociale del lavoratore, un contenuto negoziale sfavorevole a quest’ultimo. Da ciò deriva l’assoggettamento dell’autonomia individuale a quella collettiva.
Il diritto del lavoro intende garantire al lavoratore una tutela minima coattiva che è inderogabile in pejus da parte del contratto collettivo o individuale di lavoro. Queste ultime fonti ad eccezione che per limitate ipotesi, sono abilitate a derogare in melius alle norme protettive dei lavoratori.

5-IL PRINCIPIO DEL FAVORE QUALE CRITERIO ORDINATORE DELLA GERARCHIA DELLE FONTI.
Sull’ordine delle fonti nel diritto del lavoro incide il principio generale di favore verso il lavoratore, il quale è tale da sovvertirne la normale gerarchia, nel senso che la norma di grado superiore cede a quella di grado inferiore più favorevole al lavoratore, col solo limite delle leggi assolutamente inderogabili.
Il principio di favore (è ispirato ad una tutela minima coattiva ed indifferenziata dei lavoratori) verso il lavoratore costituisce uno sviluppo ed un superamento del principio di protezione (tende alla differenziazione di situazioni giuridiche oltre tale tutela).
La gerarchia si profila nel senso che il contratto collettivo più favorevole prevale sulla legge unilateralmente inderogabile, fatta eccezione per le deroghe in melius apportate dal contratto individuale o dagli usi.
Occorre chiedersi secondo quale criterio vada compiuta la comparazione fra le disposizioni più favorevoli e quelle meno favorevoli al lavoratore.
Soluzioni possibili il raffronto:
-         fra intere discipline concorrenti;
-         fra istituti omogenei intendendosi per istituto un complesso di disposizioni unificate ratione materiae;
-         fra singole disposizioni o addirittura fra le varie parti di esse.

6-GLI USI E LE PRASSI AZIENDALI.
Gli usi richiamati dall’art. 1 disp. Pre. C.c. sono gli usi normativi, caratterizzati dalla reiterazione costante ed uniforme di un comportamento da parte di una generalità di soggetti, accompagnata dal convincimento dell’obbligatorietà della condotta stessa.
Secondo la disciplina prevista dall’art. 8 disp. Prel. C.c. nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia in quanto sono da essi richiamati.
L’art. 2078 c.c. prevede che in mancanza di disposizioni di legge e di contratto collettivo prevalgano gli usi. Tuttavia, gli usi più favorevoli ai prestatori di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge. Gli usi non prevalgono sul contratto individuale di lavoro.

Alla luce della disciplina codicistica, il conflitto fra gli usi e le altre fonti è cosi regolamentato:
a)      usi e legge: la legge imperativa prevale sugli usi anche se più favorevoli al prestatore di lavoro. Questi ultimi prevalgono invece sulle norme dispositive di legge. In mancanza di disciplina legislativa, gli usi hanno piena efficacia;
b)      usi e contratto collettivo: gli usi si applicano in mancanza di contratto collettivo e cedono di fronte a quest’ultimo, anche se sono più favorevoli;
c)      usi e contratto individuale: gli usi non prevalgono sui contratti individuali anche se sono più favorevoli.

Nella categoria degli usi normativi non rientrano gli usi o prassi aziendali. Questi ultimi anche se tipici di un solo datore di lavoro, sono considerati usi negoziali da ritenersi inseriti nel contratto individuale ai sensi dell’art. 1340.

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