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lunedì 7 gennaio 2013

Fuga di capitali in Svizzera

Mai come in questi ultimi tempi la Svizzera ha manifestato il suo grande amore per la confinante penisola. Gli elevetici organizzano persino meeting gratuiti in hotel cinque stelle per discutere di alta finanza nell’era moderna e visite guidate in cantoni dai paesaggi fiabeschi dove è possibile stabilire un’attività imprenditoriale mettendosi prima d’accordo col fisco locale. Così, da Zurigo a Lugano, i banchieri rossocricati si stanno leccando le dita a ritmo sfrenato contando le banconote (rigorosamente in euro) che quotidianamente finiscono nei forzieri elvetici.

Fuga capitali in Svizzera: 115 mld di euro hanno lasciato l’Italia

Notizie trapelate dalla Banca d’Italia le scorse settimane e venute in nostro possesso solo ora svelano che nel 2012 sono fuoriusciti dalle banche italiane, a vario titolo, qualcosa come 115 miliardi di euro. Il dato, non ancora confermato dall’Istituto di Via XX Settembre (ma nemmeno smentito), sarebbe riferito al 31 Ottobre del 2012. Una cifra enorme che in soli 10 mesi ha superato il bottino rimpatriato nel 2009 con lo scudo fiscale varato dell’ex Ministro Tremonti (circa 95 miliardi di euro). Una fuga di capitali in piena regola costituita da trasferimenti di valori mobiliari e valutari attraverso il circuito bancario, ma tremendamente in difetto poiché non è dato sapere quanti soldi siano realmente finiti nelle banche svizzere transitando illegalmente dalle frontiere i cui controlli, peraltro assidui, hanno evidenziato un incremento esponenziale di esportazione valutaria illegale per svariati milioni di euro anche verso altre nazioni. Secondo una stima del Fondo Monetario Internazionale (FMI), tra giugno 2011 e giugno 2012 sono andati fuori dei nostri confini ben 235 miliardi di euro, 19,5 miliardi al mese a tutto beneficio di altre valute e in particolare del franco svizzero che mai come in questi ultimi 18 mesi ha mostrato tutta la sua forza nei confronti dell’euro. Che cosa è successo? Come mai questa fuga in massa fuori dai confini statali?

La tassazione selvaggia sui risparmi mette in fuga anche i piccoli risparmiatori

Tutta colpa dello spread verrebbe da pensare. Ma non è così. In realtà – spiega A. Bernasconi, avvocato presso un noto studio legale di Lugano che assiste clienti importanti intenzionati a portare soldi in Svizzera – la fuga di capitali dall’Italia è principalmente causata dall’aumento della pressione fiscale sui risparmi e sui conti di deposito che dal 2012 ha cominciato a picchiare duro. L’introduzione dell’imposta di bollo sui depositi bancari (0,10% lo scorso anno e 0,15% dal 2013) già battezzata “minipatrimoniale”, e l’innalzamento al 20% dell’imposta sugli interessi maturati dagli strumenti finanziari diversi dai titoli di stato e sul capital gain, ha spinto moltissimi risparmiatori a trasferire  nella vicina Confederezione i propri depositi “in chiaro”. Cosa significa? In pratica – spiega Bernasconi – i risparmiatori acquistando o depositando titoli fruttiferi (come le obbligazioni) nelle banche svizzere evitano la trattenuta alla fonte sugli interessi maturati che, invece, viene applicata per legge dalle banche italiane. La legislazione elvetica, da questo punto di vista, è chiara e non prevede alcuna imposta sul risparmio per i clienti non residenti che operano in regime dichiarativo a meno che non si scelga di mantenere l’anonimato per il quale viene applicata l’euritenuta pari al 35% degli interessi. In Svizzera quindi, il risparmiatore è libero di disporre al 100% degli interessi maturati per un periodo di tempo abbastanza lungo, prima di doverli dichiarare al fisco italiano con la chiusura dell’anno fiscale e versando le dovute imposte. Quindi a posteriori. Il cliente italiano si sente inoltre più sicuro presso le banche svizzere, senza ricorrere per questo all’anonimato o a costosi conti cifrati, poiché la nuova e invasiva normativa fiscale approvata dal Parlamento, che prevede la comunicazione automatica e periodica dei depositi e dei conti correnti all’Agenzia delle Entrate, sta creando non poca angoscia e preoccupazione anche fra onesti risparmiatori italiani. Un altro bell’incentivo per non lasciare troppi soldi in Italia.

Sempre più italiani aprono conti “in chiaro” oltre confine trasferendo fondi e titoli

Ovviamente non stiamo parlando di evasori o di risparmiatori che portando quattrini oltre frontiera intendono eludere il fisco. Anche perché – osserva Bernasconi – da un lato le banche svizzere, oggi come oggi, sono sempre più attente al fenomeno del riciclaggio e difficilmente accettano nuovi clienti che si presentano con la classica valigetta piena di contanti, mentre dall’altro è cambiato il fenomeno di importazione dei capitali. Se fino alla fine degli anni 90, gli italiani portavano i soldi in Svizzera per timore della svalutazione della lira o per evitare prelievi forzosi sui conti correnti (governo Amato 1992) nascondendoli facilmente al paese di provenienza, oggi lo si fa per evitare le grinfie del fisco che sempre più di frequente sfociano in sequestri dei conti da parte di Equitalia perché le famiglie non riescono più a pagare le tasse o perché qualche creditore incallito ne chiede il pignoramento. Un conto svizzero, infatti, – spiega l’avv. Bernasconi – non può essere sequestrato dall’Italia se non a seguito di rogatoria internazionale per reati penalmente perseguibili anche in Svizzera, non certo perché non si è pagato la tassa sui rifiuti o non si è onorato la rata di debito con una finanziaria italiana. Così stiamo assistendo a un nuovo fenomeno di esportazione di capitali, più regolare e che oggi come oggi coinvolge sorprendentemente piccoli e medi risparmiatori che vengono a Lugano, aprono un conto con la semplice esibizione della carta d’identità e poi bonificano periodicamente dai conti italiani somme anche di poche migliaia di euro o trasferiscono parte del loro portafoglio titoli (fino a 10.000 euro non occorre dichiarazione). Con l’internet banking è oggi tutto più facile e l’assistenza fiscale ai clienti stranieri è diventata la regola. Al punto che molti istituti bancari elvetici si adoperano efficacemente per fornire adeguate informazioni ai nuovi clienti che dovranno poi dichiarare le consistenze finanziarie detenute all’estero alla fine di ogni anno. E nel luganese sono già decine gli studi professionali che forniscono adeguata consulenza tributaria.

L’accordo fiscale Italia Svizzera per tassare i capitali nascosti arriverà troppo tardi

Insomma, se all’inizio del 2012 esperti e tecnici di governo avevano stimato che l’introduzione della nuova imposta sui conti bancari e l’innalzamento al 20% della tassazione sulle cosidette rendite finanziarie non avrebbero prodotto alcuna fuga di capitali, ora si devono ricredere e farsi un bell’esame di coscienza davanti ai numeri. Qualcuno li aveva avvertiti. I dati, tenuti ufficialmente secretati dalla Banca d’Italia, ma svelati dal FMI, dimostrano esattamente come il fenomeno della fuga di capitali stia assumendo proporzioni inimmaginabili e non tende a calare nemmeno con la timida ritrovata fiducia dei mercati negli ultimi mesi del 2012 o con l’inasprimento delle sanzioni per chi omette di dichiarare consistenze patrimoniali all’estero. Si è giunti addirittura a limitare l’uso del contante a 1.000 euro col l’alibi della legge antiriciclaggio, ma non è servito a nulla. Il governo del banchiere Monti ha fallito! E da Berna ora fanno il tifo per lui affinché vinca le elezioni e torni a governare, anche perché, contrariamente a quanto strombazza la stampa italiana (al 66esimo posto al mondo per correttezza d’informazione), l’accordo bilaterale con le autorità svizzere chiesto da Monti per tassare i capitali degli italiani nascosti nei vari cantoni (accordo fiscale Rubik) è ancora in alto mare. Appositamente, verrebbe da pensare, per concedere il tempo necessario ai vari politici che hanno nascosto capitali oltre frontiera di sistemarli altrove lasciandoli ben nascosti. D’altro canto la Svizzera è ben conscia di essere stata relegata nella lista dei paesi “black list” dalla quale vorrebbe uscire, ma dall’altro sa benissimo che la sua esistenza è strettamente subordinata al mantenimento del segreto bancario e del suo speciale regime di tassazione agevolata che salvaguarda tuttora quasi di un terzo delle ricchezze mondiali. E se il denaro è potere, sarà difficile arrivare a un serio accordo fiscale nell’interesse del nostro paese.

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